
LIVORNO – Le pietre d’inciampo a Livorno al momento sono 31. Ieri, 28 gennaio, la nostra città ha ricordato altri nove cittadini livornesi, deportati nei campi di sterminio nazisti perché ebrei.
La deposizione delle “stolpersteine“, pietre d’inciampo in tedesco, è ormai un’iniziativa consolidata, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio e che si svolge ogni anno all’interno degli eventi dedicati al Giorno della Memoria (leggi qui l’articolo con tutte le iniziative programmate a Livorno fino a febbraio).
Ieri, le pietre d’inciampo sono state deposte in ricordo dei membri della famiglia Levi-Bardavid in via Pellettier al civico 20 e in ricordo di Nella Corinna Coen, in Borgo Cappuccini al civico 53.
In questo articolo vogliamo ripercorrere tutte le vie in cui sono state poste le pietre d’inciampo a Livorno (a partire dal 2013) con i nomi dei cittadini deportati e le loro storie.
Nel 2013
Via Fiume, 2: questa pietra d’inciampo è stata dedicata a Franca Baruch, che qui abitava. Figlia di Raffaello Baruch e Camelia Nahoum, nacque nel 1943, fu arrestata al Gabbro insieme alla madre il 20 dicembre 1943 a soli nove mesi e venne trasferita a Fossoli, poi deportata ad Auschwitz dove fu assassinata il 26 febbraio 1944.

Via Cassuto, 1: la pietra d’inciampo è dedicata a Perla Beniacar, posta dove abitava la bambina che nacque a Livorno il 19 giugno 1935 da Moise Beniacar e Estrea Levi. Venne arrestata a Borgo a Buggiano (Pistoia) il 25 gennaio 1944, aveva nove anni. Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz, fu assassinata il 26 febbraio 1944.

Via Verdi, 101: due pietre d’inciampo dedicate a Raffaello Menasci e al figlio Enrico Menasci che qui abitavano. Raffaello (nato nel 1896) era professore all’Università di Pisa, in seguito alle leggi razziali perse la cattedra e si traferì a Roma insieme al figlio e alla moglie Piera Rossi. Enrico nato a Livorno il 27 marzo 1931.
Entrambi arrestati il 16 ottobre 1943 a Roma e deportati ad Auschwitz. Raffaelo morì il 29 febbraio 1944 ed Enrico fu assassinato a soli 12 anni ad Auschwitz nello stesso anno.
Nel 2014
Via della Posta, 9: qui abitava Isacco Bayona, nato a Salonicco in Grecia il 27 gennaio 1926. Il padre era livornese e aveva sposato una donna greca. Isacco fu arrestato nel 1943 insieme alla madre, al fratello Carlo e alle due sorelle Dora e Luciana, deportati ad Auschwitz, solo lui sopravvisse e tornò in Italia dove ritrovò il padre.

Via Chiarini, 2: qui si trova la pietra d’inciampo di una delle testimoni più importanti della Shoah, Frida Misul (1919-1992) livornese e cantante lirica, arrestata l’1 di aprile del 1944. Dopo un periodo di reclusione nel campo di Fossoli, viene deportata ad Auschitz dove rimane per circa un anno ma riesce a salvarsi. Frida ha raccontato gli orrori della Shoah nel suo diario.

Nel 2015
Via della Coroncina, 16: qui abitavano Dina Bona Attal Bueno e il figlio Dino Bueno. Dina nata a Livorno nel 1899, coniugata con Mario Bueno, viene arrestata a Marlia (Lucca) nel dicembre 1943 e deportata ad Auschwitz dove fu assassinata nel febbraio 1944.
Dino Bueno nato a Livorno nel 1922 fu arrestato insieme alla madre nel dicembre del 1943 deportato ad Auschwitz e qui assassinato ma non è conosciuta la data della morte.
Nel 2017
Via Fagiuoli, 6: abitava Ivo Rabà, nato a Livorno nel 1919 fu arrestato a Casoli di Camaiore (Lucca) il 2 febbraio 1944. Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz nel 1944, vi trovò la morte nel 1945.

Via Strozzi, 3: dedicata a Nissim Levi che qui abitava. Nato a Torino nel 1928 da Abramo Levi e Rosa Adut. Fu arrestato a Guasticce (Livorno) nel dicembre 1943, deportato nel 1944 ad Auschwitz insieme ai genitori. Sopravvissuto alla Shoah.

Nel 2018
Via Cassuto, 1: viene posta la pietra d’inciampo in ricordo di Matilde Beniacar, figlia maggiore di Moise Beniacar ed Estrea Levi e sorella di Perla, è l’unica che sopravvive alla deportazione. Nasce a Smirne nel gennaio 1926, arrestata nel gennaio del 1944 a Borgo a Buggiano fu deportata ad Auschwitz e poi liberata. Muore a Cecina nel dicembre 2016, ultima sopravvissuta livornese ai campi di sterminio.

Nel 2020
Via Strozzi, 9: vengono poste le pietre d’inciampo dedicate ai genitori di Nissim Levi, Abramo Levi e Rosa Adut e ai fratelli di Nissim, Selma e Mario Moisè. Abramo, Rosa, Selma e Mario furono arrestati tutti nel dicembre 1943, insieme a Nissim. Deportati prima al campo di Fossoli e poi il 16 maggio 1944 ad Auschwitz. Il padre Abramo muore il 31 dicembre 1944. La madre Rosa, ed i tre figli, Selma, Mario Moisè ed Elio Nissim, vennero liberati e fecero ritorno in Italia.
Via del Mare, 2: vi abitavano Piera Galletti Genazzani e la figlia Lia Genazzani. Nate entrambe a Firenze furono arrestate alla frontiera italo-svizzera nel dicembre 1943 e carcerate prima a Varese e quindi a Milano. Deportate da il 30 gennaio 1944 ad Auschwitz. Piera viene uccisa all’arrivo il 6 febbraio 1944, la figlia Lia è assassinata pochi mesi più tardi il 31 agosto del 1944.

Nel 2021
Via Verdi, 25: è la più piccola tra tutti i livornesi ebrei che furono deportati e uccisi ad Auschwitz, si tratta di Gigliola Finzi, morta a soli tre mesi il 23 maggio 1944.
Berta, la madre, partorisce Gigliola il 19 febbraio 1944 nel reparto maternità di Grosseto e subito dopo vengono trasferite a Roccatederighi, a marzo tutta la famiglia viene portata a Fossoli e il 16 maggio 1944 deportata ad Auschwitz.
All’arrivo al campo di concentramento, Nonno Erasmo, Natale, il padre di Gigliola, Berta e Luciana la sorella di Berta sono fatti scendere dal treno a spintoni e urla, la bimba piange, un tedesco infastidito dal pianto strappa la bimba dalle braccia della madre e la uccide barbaramente, vengono uccisi subito anche Berta, Nicola ed Erasmo, Luciana viene condotta all’immatricolazione, ma non farà più ritorno a casa. Leggi la storia completa qui.

Nel 2022
Via San Francesco, 23: due pietre d’inciampo dedicate ad Ada e Benito Attal, madre e figlio.
Benito venne affidato dalla madre Ada a un orfanatrofio israelitico che aveva sede in via Paoli 36 a Livorno. L’istituto della comunità ebraica sosteneva i bambini in difficoltà, perché figli di famiglie povere, o di genitori separati o di ragazze madri.
Tra il gennaio del 1942 e il febbraio del ’43 l’orfanatrofio venne trasferito a Sassetta, un ordine di polizia nel novembre dispose l’arresto e l’internamento di tutti gli ebrei residenti in Italia, nonché l’immediato sequestro dei loro beni mobili e immobili. I bambini furono condotti alla stazione di Vada: destinazione campo di concentramento di Fossoli. Una bomba colpì la locomotiva, allora Don Vellutini sacerdote di Vada, radunò tutto il gruppo: i bambini vennero accolti dalle famiglie di contadini della zona e qui passarono la notte. La popolazione fu solidale pur essendo consapevole del rischio che correva aiutando gli ebrei.
Il giorno seguente Don Vellutini si attivò per far portare i bambini a Livorno. Il viaggio avvenne in camion, i ragazzi furono trattenuti ad Ardenza, nella Scuola Giosuè Carducci. Ada si recò alla Scuole Carducci per chiedere la restituzione del figlio e in quella occasione entrambi furono arrestati. Deportati a Fossoli, partirono per Auschwitz il 16 maggio 1943, Benito fu ucciso all’arrivo il 23 maggio 1944 (a dieci anni). Il convoglio era il numero 10, lo stesso su cui fu deportata Frida Misul.
Ugo Bassano, testimone di quei giorni, insieme alla sorella Luciana, ricorda che Benito era un bambino taciturno, le sofferenze e i traumi della guerra e delle persecuzioni l’avevano profondamente segnato. “A dieci anni Benito era infelice”, ricorda Ugo. Sempre dalla testimonianza di Ugo sappiamo che la mamma Ada era stata avvertita del pericolo che correva andando a prendere Benito a scuola e che lei avesse risposto: “Ma lui è mio figlio, dove va lui vado io”.

Nel 2023
Via Bartelloni, 1: al penultimo piano viveva Mario Cozzolini. Il 27 gennaio 2023 è stata deposta una pietra d’inciampo in memoria del cittadino livornese sopravvissuto ai lager nazisti.
Cozzolini fu arrestato nel gennaio del 1944 e deportato nel campo di concentramento di Dachau con numero di matricola 64141, triangolo rosso (prigioniero politico), dove riuscì a sopravvivere fino alla liberazione.

Nel 2024
Via Fagiuoli, 5: sono state poste pietre in ricordo di Liliana Archivolti, maestra dell’orfanotrofio israelita di Livorno, e sua madre Elena della Torre. Entrambe vennero deportate ad Auschwitz il 16 maggio 1944 e non fecero mai più ritorno.
Liliana Archivolti nasce a Milano il 10 dicembre 1923. Il censimento degli ebrei livornesi del 1938 registra la residenza di tutta la famiglia in Via Fagiuoli 5, al terzo piano. Livorno è la città natale dei genitori.
In seguito alle disposizioni legislative del settembre del 1938 che vietavano la frequenza delle scuole pubbliche agli studenti di razza ebraica, Liliana iniziò a frequentare la scuola media israelita, istituita presso l’oratorio Marini in via Micali a Livorno. Liliana studiava per diventare maestra.
Riuscì a concludere i suoi studi, e ad ottenere la licenza per diventare insegnante, poiché nel 1943 è a Sassetta, al seguito dei piccoli ospiti dell’Orfanotrofio Israelitico inviata per istruire i bambini e i ragazzi ricoverati.
Fu forse a seguito dei provvedimenti e della politica persecutoria del nuovo regime fascista repubblicano, che Liliana, si riunì ai genitori, sfollati a Monteverdi Marittimo presso il podere “La Cornazzana”, confidando forse nell’isolamento del luogo, speravano di potersi nascondere ed evitare i rastrellamenti. Purtroppo, però la loro presenza non dovette passare inosservata. Il 1 aprile 1944 la giovane maestra venne arrestata dai fascisti insieme alla madre Elena Gina Della Torre. Il padre, più che settantenne, non fu, invece, arrestato. Dopo aver transitato nel carcere di Pisa e poi nel campo di concentramento di Fossoli, le due donne furono deportate ad Auschwitz e non fecero più ritorno. Insieme a loro, sullo stesso treno, furono deportate altre famiglie livornesi, sfollate in Toscana e arrestate in seguito agli ultimi provvedimenti: tra queste la famiglia di Erasmo Della Riccia, con la piccolissima Gigliola Finzi, arrestati a Castell’Azzara in provincia di Grosseto.
Nel 2025
Via Pellettier, 20: si trovano otto pietre d’inciampo, poste in ricordo della famiglia Levi-Bardavid. La famiglia lascia la sua città natale Smirne, città turca, nel 1922 quando i quartieri cristiani ed ebraici vengono incendiati, con molta probabilità dall’esercito turco per costringere alla fuga la popolazione greca. Dal 1917 infatti Smirne, passa dall’Italia all’amministrazione provvisoria della Grecia. A causa degli incendi, la famiglia Levi-Bardavid perde tutto, parte e raggiunge Torino, dopo un viaggio non privo di difficoltà. Ma i Levi decidono di proseguire e raggiungono Livorno, dove hanno lontane origini, trova casa in via Pellettier al numero 20.
Nel 1943, anche a Livorno gli Ebrei vengono arrestati nelle loro case. Abramo verrà portato nel carcere di Firenze e da lì ad Auschwitz il 6 dicembre. Il 17 dicembre, viene arrestato a Serravezza tutto il resto della famiglia, le donne e i bambini, che lì avevano cercato scampo. Sono tradotti al campo di internamento di Bagni di Lucca. Amelia invece, con i figli, la sorella Ester e la mamma Dori Sciaula Boccara sono trasferiti nel carcere di Livorno, poi portati nel carcere di San Vittore a Milano e il 30 gennaio salgono sul convoglio n. 6 in direzione Auschwitz. Con loro altre famiglie ebree turco-livornesi, i Bueno, i Bayona, i Baruch e poi altri ebrei italiani tra cui Liliana Segre e Luciana Sacerdote. I membri della famiglia Levi moriranno ad Auschwitz nel corso del 1944.
Sulle pietre d’inciampo sono riportati i nomi di: Abramo Levi, Ester Bardavid, Angelo Giacomo Levi, Aldo Levi, Amelia Caden Bardavid, Natale Elio Levi, Aldo Levi e Sciaula Dori Boccara.

Borgo Cappuccini, 53: Nella (Corinna) Coen nasce a Livorno il 13 marzo 1881. Dopo aver trascorso l’infanzia a Pisa, torna a Livorno nel 1892 con i genitori, in Borgo Cappuccini. Nella si laurea in lingua e letteratura tedesca. Nel 1924, alla morte del padre, si trasferisce a Cagliari, è insegnante e le viene assegnato il capoluogo sardo come sede di lavoro. Nel 1931 raggiunge la madre che nel frattempo ha lasciato Livorno e si è trasferita ad Abbazia, vicino Fiume.
Nel 1932 sposa Remigio Sussi, anch’egli livornese ma non ebreo. Poco dopo l’armistizio dell’8 settembre, i nazisti occupano la Venezia Giulia ed il comando tedesco prende sede nella risiera di S. Sabba. Nel gennaio del 1944 Abbazia, come tutto il litorale adriatico, è sotto occupazione e gli ebrei braccati.
Il 30 gennaio, a Fiume, i tedeschi rintracciano le persone fuggite o nascoste: ad Abbazia erano 40 gli ebrei presenti, tra cui Nella e la madre.

Il 31 maggio Nella viene arrestata, detenuta nella Risiera di San Sabba. Dagli elenchi dei detenuti del campo però, Nella sembra essere rimasta sola senza la madre né altri familiari. Deportata ad Auschwitz, non è sopravvissuta alla Shoah.
Centro di Documentazione Ebraica
Per approfondire ulteriormente le storie, non solo dei cittadini livornesi, è possibile consultare il sito del Centro di Documentazione Ebraica.
Articolo e fotografie di Valeria Cappelletti